A ogni epoca emerge l'espressione di simulacri. — Nell'intrico delle offerte proprie alla sfera digitale, nell’era delle fake-news, delle menti formattate in veste blu-grigio "FB", degli "influenceurs" certificati da Instagram, del "fai da te", si afferma la leggerezza di una cultura sommaria che prende il sopravvento sulla conoscenza. Con il numerico reso mobile e la binarizzazione accessibile per nuovi modus operandi e ibride sperimentazioni, l'apparenza si manifesta in bilico tra il reale, la natura intriseca al soggetto, e ciò che non lo è, dissimile per essenza, simile per analogia, a seconda della rappresentazione che ne scaturisce. Il calcolatore logico omnipresente ridefinisce il concetto di velocità progettuale, e attraverso la simulazione, genera uno stato di assimilazione inedito tra immagine e oggetto, tra reale e virtuale —. L’oggetto artistico e filosofico nato nella Grecia antica, convertito e codificato dal cattolicesimo come mediazione per il sacro, si proietta nelle prospettive del Rinascimento che stabiliscono lo spazio e la conoscenza come luogo dell'esperienza del bello e della tecnica. Segue la fotografia che si sostituisce all'occhio umano, l'immagine rompe lo statuto ontologico di dipendenza al soggetto, e si costituisce una realtà soggettiva. Infine, la tecnologia tascabile genera una spontaneità compulsiva, auto-celebrativa o ridotta a mera curiosità, nel paradigma mutevole della generazione selfie. "Mi vedi" dunque sono?
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